La tradizione poc’anzi narrata che udiamo dalle labbra come dell’ingenuo contadino, così dell’uomo istruito e dotto e che, come si è detto, porta con se i caratteri della più semplice veridicità, è suffragata della prova storica di autentici documenti.
Il primo ce l’offrono le parole del citato documento vescovile: “in quel luogo ove è apparsa la Santissima Vergine Maria”, proposizione che, uscita da un tribunale competente, è di una autorità irrefragabile.
Il secondo è lo stesso dipinto artistico, stupendo, ammirando, e quel che è più portentoso, che il visitatore ritrova sull’altare del Santuario in mezzo ad altre pitture belle ma di minor valore.
E’ la Vergine Santissima che in forma più che ordinaria appare al giovane muto, il quale in piedi se ne sta collo sguardo fisso in Lei, assorto in dolce contemplazione. Anche il quadro ha la propria storia che tiene del soprannaturale. Ecco in qual modo viene gelosamente conservata.
” Perchè in più espressiva maniera ai posteri restasse la memoria del grande avvenimento, ordinarono i Rettori ad Alessandro Bonvicino, detto il Morétto, celebre pittore di quei tempi di rappresentarlo in ben ideata pittura locchè diede occasione ad un nuovo miracolo. Ricercò l’artefice valentissimo dal semplice contadino la narrazione dell’avvenuto nelle più particolari circostanze, ma, non potendo ritrarne che rozze e malformate risposte trovossi talmente confuso, che sentendosi mancare l’aiuto dell’arte umana, volle con saggio consiglio ricorrere all’assistenza celeste. Premessa adunque la Sacramentale Confessione de’ suoi falli e pasciutosi dell’adorabile Eucarestia, implorò riverente l’aiuto e la protezione di Maria Santissima, la quale, benignamente esaudendo le sue umili preghiere, se gli diede a vedere in sogno nella notte seguente imprimendo altamente nella di lui fantasia l’intera idea della sua miracolosa comparsa. Svegliato dunque nella seguente mattina diede tosto mano con tal facilità al lavoro che al primo vederlo il risanato contadino esclamò tutto giulivo tale appunto ed in tale abito essergli comparsa la Madre di Dio allorché sciolse i legami della di lui lingua” (Dalla storia delle più celebri apparizioni. — Venezia, 1760 — Tìpog. Remondini.).
L’opera considerata sotto ogni rapporto, a detta degli intelligenti, che frequenti e da lontanissime parti si portano d’innanzi a quel dipinto, è riuscita veramente splendida, un capolavoro del sommo pittore.
Nè solo agli artisti è dato gustare le bellezze di quel quadro, ma esse ricorrono anche all’occhio profano. Basta fissare lo sguardo in quel volto divinamente sublime per provare una soave commozione di affetti per la grande Madre di Dio e Madre nostra. Ai piedi di quell’Immagine molti gustarono quella pace che non potevano trovare altrove e tutti partendo da quell’altare vi lasciano il cuore, col vivo desiderio di ben presto ritornare; Oh! cercassero qui la loro felicità tanti di coloro che la piangono perduta! In tal modo il pellegrino a questo Santuario della Vergine si delizia in un colle bellezze naturali e delle artistiche e delle celesti.
Il Santuario della Madonna di Paitone è esaltato dalla presenza della pala che il pittore bresciano Alessandro Bonvicino detto il Moretto dipinse appositamente per l’allora costruendo Santuario.
Di animo profondamente religioso, il Moretto visse intensamente il travaglio della cristianità del suo tempo. Erano quelli anni diffìcili. Dopo il feroce sacco di Brescia da parte dei francesi che nel 1512 lasciarono striscichi profondi di dolore e di smarrimento, dopo la successiva occupazione spagnola durata fino al 1516, sulle terre bresciane era tornata a sventolare la bandiera rosso-oro del Leone di S. Marco. Ma ormai la repubblica di Venezia non garantiva più quella sicurezza che aveva dato fino al primo decennio del secolo, un periodo di grande prosperità economica e di vitalità culturale e artistica. In quegli anni Brescia era stata una città popolata quanto Roma, con un numero di circa la metà di abitanti dei quattro più grandi centri urbani europei: Venezia, Milano, Napoli e Parigi. Nello stesso periodo, però, la vita religiosa era degradata e aleggiava già nell’aria la necessità di un rinnovamento dello spirito cristiano.
Dal 1527 al 1532, la repubblica veneta, da neutrale, concesse più volte il passo agli eserciti imperiali che scesero per la vicinissima valle del Chiese a saccheggiare, a scompigliare le popolazioni soprattutto contadine dalle quali esigevano alloggio, utensili, legna, paglia e vitto. Inoltre, quegli eserciti erano costituiti nella grande maggioranza da facinorosi soldati svizzeri e tedeschi, in gran parte luterani, dissacratori del culto della Madonna e distruttori di immagini sacre.
I timori per la precarietà dell’esistenza, per le paure, per i rischi, più frequenti ormai, di subire la violenza di uomini truculenti acuirono nelle popolazioni che li dovevano sopportare, il senso della propria salvezza e le speranze che in ogni situazione di pericolo il cuore umano alimenta. Timori e speranze accrebbero nei fedeli il bisogno di protezione non umana che si espresse in un rinnovato fervore religioso soprattutto nei confronti della Madonna, protettrice e consolatrice degli umili e degli infelici.
Il Moretto in quegli anni aveva da poco superato la trentina, era sicuro nei mezzi espressivi, aveva un personalissimo senso di orientamento in arte sostenuto da una profonda convinzione religiosa e perciò guardava persone e cose del vivere quotidiano con intensità di partecipazione cristiana.
Inoltre, il Moretto aveva una grande capacità di fare proprie, per quanto impegnative, le intenzioni dei committenti i quadri e conciliò l’esigenza didascalica con i valori emotivi, sentimentali che stimolano nei fedeli l’adesione alla verità proposta dall’immagine; in pratica, con la sua tela il Moretto rispose con semplicità, naturalezza, e in prontezza, alle richieste di un ambiente vivo. Scelta migliore non poteva essere fatta dalla popolazione di Paitone.
Carlo Ridolfi, mediocre pittore vicentino, ma scrittore d’arte molto informato e ancora oggi fonte non secondaria, scrisse in Le meraviglie dell’arte (Venezia 1648): «Nella Chiesa posta nella cima di monte Paitone, dodici miglia distante da Brescia, ammirasi ancora una miracolosa immagine della Vergine, che fece il Moretto a petitione di quel Comune, per un tale miracolo accaduto. Raccoglieva un contadinello more silvestri nel seno di quel monte, a cui apparve Maria Santissima in sembiante di grave Matrona, cinta di bianca veste, commettendogli che facesse intendere a que’ Popoli, che al di lei nome edificassero una Chiesa in quella sommità, che in tale modo cesserebbero certo infortunio di male, che gli opprimeva. Ubbidì il garzoncello, e ottenne anch’egli la sanità. Edificato il tempio, fu ordinata la Pittura al Moretto, il quale con ogni applicatione si diede a compor la figura della Vergine, nella guisa, che riferiva il Rustico (il contadinello): ma affaticandosi invano, pensò, che qualche suo grave peccato gl’impedisse l’effetto, onde riconciliatosi con molta devozione con Dio, prese la Santissima Eucarestia, ed indi ripigliò il lavoro, e gli venne fatta l’Imagine in tutto somigliante a quella, che aveva veduta il Contadino, che ritrasse a piedi, col cesto delle more al braccio: onde viene frequentata da continue visite de Popoli, mediante la quale ottengono dalla Divina mano, gratie, e favori» (pag. 248). Valerio Guazzo ni, recentissimo acuto interprete del tema sacro nel Moretto commenta: «Senza dubbio il racconto fornisce almeno un’indicazione suggestiva per leggere il dipinto, cioè la fedeltà del pittore al racconto del bambino. Come altrimenti dar conto della grande libertà dell’immagine, veramente senza riscontro nell’iconografìa sacra, e della particolarità dei dettagli, dal canestrino di more al velo nero della Madonna? Il carattere soprannaturale dell’avvenimento, che per la sua semplicità si distingue dalle tante appassionate visioni e esperienze di mistici contemporanei, viene potenziato, proprio sottolineandone la concretezza e la povertà.
Il dipinto di Paitone è il contributo più originale dell’artista a quel nuovo fervore nella devozione alla Vergine caratteristica di questi anni ed al quale forse non fu estranea la volontà di contrastare certi spunti antimariani della propaganda protestante… Del tutto sporadici, simili atteggiamenti non valsero peraltro a intaccare le profonde radici popolari di quel culto che si espresse nella fondazione di un gran numero di santuari».
La costruzione della chiesa, iniziata nel 1534 si concluse nel giro di qualche anno. Sulla fine del Cinquecento vennero realizzati l’allungamento della navata ed il portico palladiano. Allo stesso periodo risale il rivestimento dell’interno con stucchi dorati. Sempre di questo periodo risalgono le sei telette disposte lungo le pareti del presbiterio, che raffigurano episodi della Vergine: Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto, Ritorno dall’Egitto, la Natività di Maria, la Presentazione al Tempio, lo Sposalizio della Vergine, opere dei pittori Amigoni, Gandino e Pombioli.
Sulla volta del presbiterio, al centro si trova l’Incoronazione, ai lati: l’Annunciazione, l’Assunzione e la Natività. Sull’arco trionfale: i Genitori della Vergine, la Presentazione al Tempio, lo Sposalizio.
Nella prima campata della navata, al centro l’Adorazione dei pastori, circondata da Profeti, mentre nella seconda l’Assunzione tra i profeti Malachia, Michea e Zaccaria, e nella terza la Pentecoste.
Tutti questi affreschi sono di mano del Barbello.
La datazione di questo ciclo pittorico dovrebbe collocarsi verso il 1650. Al 1655-1659 risalgono invece le tre grandi lunette ad olio su tela collocate lungo le pareti dell’aula e raffiguranti l’Adorazione dei Magi, la Strage degli Innocenti e il Riposo durante la fuga in Egitto, opere che si possono assegnare a Barbello.
Il ciclo delle tele era completato sulle pareti della navata da grandi riquadri sempre ad olio su tela purtroppo andati persi e sostituiti nel 1960-1965 con affreschi di Vittorio e Giuseppe Trainini.
Del primo (1965) si vedono Giuditta, sopra la porta laterale, ed Ester ed Assuero ed una Pietà nella prima campata verso l’ingresso principale. Del secondo (1960) si vedono nella campata centrale della Chiesa due dipinti raffiguranti il Concilio di Efeso e le Nozze di Cana.
Ai quattro vertici della crociera della campata centrale della navata sono collocati alcuni angioletti in stucco, con simboli allusivi alle litanie mariane.
Si riconosce la Domus Aurea Turris eburnea, lo Speculum justitiae ed il Pozzo di Giacobbe.
A metà della navata sopra una fastosa cantoria della metà del Seicento, è collocato l’organo, in un’artistica cassa, costruito da Giovanni Bianchetti di Brescia nel 1908, restaurato nel 1998 dall’organaro Luigi Gaia di Brescia.
Ai lati dell’arcone trionfale entro nicchie che hanno per base un mascherone, sono poste due statue a tutto tondo, in stucco policromo, raffiguranti S. Carlo Borromeo e S. Francesco d’Assisi. Opere di altissimo livello, forse da attribuire ad Attilio Montanino e da datare già nei primi anni del Settecento.
Il cuore del santuario è comunque costituito dalla pietra sulla quale, secondo la tradizione, posò i piedi la Madonna e che si può vedere da una nicchia, al centro del palliotto dell’altare.
Nel 1982 nella ricorrenza del 450° anniversario dell’Apparizione furono eseguiti diversi lavori di ristrutturazione dell’intero complesso del santuario.
Venne affrontato l’intero rifacimento dei tetti, dei locali e dei sottotetti, il consolidamento ed il restauro dei loggiati e del portico, la dotazione dei servizi igienico-sanitari ed il riordino delle adiacenze. Nel 2002 è stata completata la scalinata al santuario.
Il dipinto è ricordato per la prima volta dal Ridolfi (1648) il quale scrive che “nella chiesa posta sulla cima di monte Paitone ammirasi ancora una miracolosa immagine della Vergine che fece il Moretto a petizione di quel Comune per un tale miracolo avvenuto”. Prosegue il Ridolfi “Raccoglieva un contadinello more silvestri nel seno di quel monte, a cui apparve Maria Santissima in sembiante di grave Matrona, cinta di bianca veste, commettendogli, che facesse intendere a quei popoli, che al di lei nome edificassero una Chiesa in quella sommità, che in tal modo cesserebbe certo infortunio di male, che gli opprimeva. Ubbidì il garzoncello, et ottenne anch’egli sanità: edificato il Tempio, fu ordinata la pittura al Moretto; il quale con ogni applicatione si diede a compor la figura della Vergine, nella guisa, che riferiva il rustico: ma affaticandosi invano, pensò, che qualche suo grave peccato gl’impedisse l’effetto, onde riconciliatosi con molta divotione con Dio, prese la Santissima Eucharistia, ed indi ripigliò il lavoro, e gli venne fatta l’immagine tutto simigliante
a quella, che haveva veduta il contadino, che ritrasse ai piedi, col cesto delle more al braccio, onde viene frequentata da continue visite de’ Popoli, mediante la quale ottengono dalla Divina mano gratie e favori”.
“Senza dubbio il racconto fornisce almeno una indicazione suggestiva per leggere il dipinto, cioè la fedeltà del pittore al racconto del bambino. Come altrimenti dar conto della grande libertà dell’immagine, veramente senza riscontro nell’iconografia sacra, e della particolarità dei dettagli, dal canestrino di more al velo nero della Madonna? Il carattere soprannaturale dell’avvenimento, che per la sua semplicità si distingue dalle tante appassionate visioni
e esperienze di mistici contemporanei, viene potenziato, proprio sottolineandone la concretezza e la povertà. Il dipinto di Paitone è il contributo più originale dell’artista a quel nuovo fervore della devozione alla Vergine caratteristico di questi anni ed al quale forse non fu estranea la volontà di contrastare certi spunti antimariani della propaganda protestante”.
Valerio Guazzoni, Moretto, Brescia 1981, pag. 35.